società umana

    Società

    La “Società” viene definita come l’insieme di individui dotati di diversi livelli di autonomia, relazione ed organizzazione che, variamente aggregandosi, interagiscono al fine di perseguire uno o più obiettivi comuni. 

    Caratteristiche

    Gli individui (persone in caso di società umana, animali nel caso di società animale o anche robot nel caso di robot sociali) condividono alcuni comportamenti stabilendo relazioni reciproche per costituire un gruppo o una comunità dotata di diversi modi e livelli di organizzazione. È dunque la presenza di livelli organizzativi che differenzia principalmente una società da un semplice insieme di soggetti.

    Società umana

    La società umana è una comunità organizzata, stanziata in un territorio definito, tendente all'autosufficienza economica, composta da individui che condividono una stessa cultura, che sono coscienti della loro identità e continuità collettiva e che stabiliscono fra loro rapporti e scambi più intensi rispetto a quelli stabiliti con membri di altre collettività. In contrapposizione con il termine comunità, la parola "società" indica un sistema di relazioni artificiali impersonali, mediate dal mercato e fondate su un contratto.

    Gli individui che la compongono sono solitamente organizzati in ceti e classi sociali.
    La sociologia formale tedesca e la microsociologia considerano la società come comunità ove sia presente azione reciproca fra individui.
    I funzionalisti descrivono la società come un sistema di individui che interagiscono fra di loro secondo determinati caratteri. 

    Nella storia, si sono avute circa cinquemila società diverse, classificate in base a vari criteri fra i quali: il tipo di religione, le forme dell'economia, il linguaggio, l'istituzione dominate.

    Sociologia

    La sociologia è la scienza sociale che studia i fenomeni della società umana,  indagando i loro effetti e le loro cause, in rapporto con l'individuo e il gruppo sociale.
    Un'altra definizione, più restrittiva, definisce la sociologia come lo studio scientifico della società.
    Altre definizioni storiche includono quella di Auguste Comte che la definisce uno strumento di azione sociale, quella di Émile Durkheim, cioè la scienza dei fatti e dei rapporti sociali, infine quella di Max Weber, scienza che punta alla comprensione interpretativa dell'azione sociale (interpretativismo).

    Il termine "sociologia" fu però coniato da Auguste Comte, che sperava di unificare tutti gli studi sull'uomo, includendo storia, psicologia ed economia. Il suo schema sociologico era tipico del XVIII secolo: egli credeva che l'esistenza umana passasse sempre attraverso le stesse distinte tappe storiche e che, comprendendone la progressione, si potessero individuare i rimedi per i problemi della società.

    Montesquieu fu uno dei precursori per l'indagine delle condizioni sociali, delle leggi e dei costumi di modelli sociali differenti, come quelli francesi e persiani del suo tempo. Certamente, né lui e nemmeno Rousseau furono sociologi, però anticiparono alcune analisi sociali riguardanti tematiche che in seguito i sociologi stimeranno importanti, come per esempio il tema della disuguaglianza, della stratificazione e della proprietà privata. 

    Anne Robert Jacques Turgot sostituirà, per primo, l'origine della causa dei fenomeni, fino ad allora ricercata nell'ambito del sovrannaturale, con l'indagine fatta esclusivamente nell'ambito nella natura.

    Pur essendo un economista, furono rilevanti le influenze indirette di Adam Smith sulla sociologia: basti pensare, tra le tante, l'analisi sulla divisione del lavoro, gli studi sulla proprietà privata e l'idea dei benefici sociali della concorrenza.

    Durante il XIX secolo nasce il concetto, grazie ad Herbert Spencer, della società come un organismo simile al corpo umano, e nascono i sociologi nella lotta di classe, chi a favore della borghesia, da Spencer a Pareto, chi a favore del proletariato, come Marx, chi alla ricerca di un superamento della lotta di classe, come Durkheim.

    Verso la fine dell'Ottocento e per tutta la prima metà del Novecento si sviluppa la riflessione sulla alienazione e sull'impoverimento dei rapporti sociali e sulla perdita di identità, grazie al contributo di Ferdinand Tönnies, della Scuola di Francoforte e della nascente scuola sociologica nordamericana.
    L'interazionismo di William James e la sociobiologia di Edward Osborne Wilson sono le ultime correnti sociologiche del XX secolo.

    In realtà, la sociologia non superò le altre scienze sociali ma divenne una di queste, con i suoi propri oggetti, argomenti e metodi. 

    Oggi la sociologia studia le organizzazioni umane e le istituzioni, utilizzando largamente il metodo comparativo. La disciplina si è applicata in particolare alle società industriali complesse.

    In Italia, sebbene fossero presenti in diverse università italiane alcuni importanti sociologi, la prima facoltà di sociologia venne aperta soltanto nel 1962 all'Università di Trento. La vivacità culturale data dall'incontro di studenti provenienti da tutto il paese portò l'Università di Trento ad essere uno dei centri della contestazione studentesca del 1968 oltre che del movimento femminista italiano. 
    Alla cattedra di Istituzioni sedeva allora Francesco Alberoni, che a Trento sviluppò e pubblicò la sua teoria dei movimenti collettivi in statu nascenti, mentre a Franco Fornari spettavano i corsi di psicoanalisi.
    L'evoluzione della Facoltà di Sociologia di Trento è anche emblematica del ruolo che il sociologo occupava nell'immaginario collettivo italiano degli anni sessanta. Si riteneva che la sociologia, più che uno strumento di interpretazione scientifica della società, fosse in realtà uno strumento per il cambiamento della società stessa. 
    In grado di unire una puntuale osservazione dei fenomeni sociali con una vocazione critica e trasformativa della società, Trento costituiva un territorio fertile per studenti impegnati politicamente, visionari, intellettuali e leader politici.
    Nel maggio del 1965 gli studenti di quello che si chiamava ancora Istituto superiore di scienze sociali, occuparono per la prima volta la facoltà per protestare contro il progetto di trasformare l'Istituto in una facoltà di Scienze politiche autorizzata a rilasciare una laurea ad indirizzo sociologico. In quegli anni, chi era appositamente venuto a Trento per studiare sociologia, voleva ottenere una laurea in sociologia senza ulteriori caratterizzazioni che ne limitassero la peculiarità.

    La sociologia non è una scienza unitaria

    e molti esperti spesso non sono d'accordo sui presupposti dai quali far partire la propria analisi sociale, giungendo a conclusioni anche fortemente discordanti.
    Thomas Kuhn, storico e filosofo statunitense, decise di chiamare "paradigmi scientifici" quegli assunti di base di natura teorica e metalogica sulla quale una comunità di scienziati sviluppa un consenso.
    Nella sociologia questo portò alla creazione di TRE DISTINTI PARADIGMI:

    paradigma dell'ordine

    Questo paradigma nacque dagli sconvolgimenti di natura rivoluzionaria che attraversarono il XVIII secolo. Venute meno la sacralità di alcune istituzioni che tenevano insieme la società, come le convinzioni religiose o le dottrine di diritto naturale, ci si chiese dove dovesse essere ricercato il fondamento dell'ordine sociale. La soluzione fu di cercarlo all'intero della società, e non al suo esterno.
    In sostanza, iniziò a circolare l'idea che il processo di unione societaria operi all'interno dell'organismo sociale. I modelli organicisti della società furono la prima reale soluzione alla ricerca del collante societario interno alla società. Secondo tali modelli la società è come un organismo le cui parti sono connesse da relazioni di interdipendenza. L'equilibrio della società non è statico, ma dinamico, cioè continuamente in evoluzione, dalle forme più semplici a quelle più complesse, da quelle più omogenee a quelle più eterogenee.
    Capisaldi di questa concezione della società furono Herbert Spencer,  e Georg Simmel, e sempre più importante divenne il tema della divisione del lavoro. Per Georg Simmel l’ordine nasce dall'interno della società. La divisione del lavoro produce differenziazione sociale ed accentua il processo di individualizzazione e accresce il bisogno di entrare in interazione (diretta o indiretta) con gli altri per soddisfare le proprie esigenze. Quindi nelle condizioni della modernità, l'ordine sociale non è qualcosa di imposto dall'esterno, ma qualcosa che cresce spontaneamente dall'interno.

    Ulteriori passi in avanti furono compiuti da Émile Durkheim e da Ferdinand Tönnies. Entrambi vedevano nel problema dell'ordine la questione centrale della sociologia. Il primo riteneva che in quelle società dove c’è scarsa divisione del lavoro, con unità poco differenziate, ciò che unisce gli individui è un vincolo di solidarietà, di natura sacrale o religiosa. Nella società moderna quindi l'interdipendenza organica degli individui è alla base della coesione sociale.

    paradigma del conflitto

    Il paradigma dell'ordine riesce a descrivere il mutamento sociale, ma non si spiega da cosa nasca.
    A questa domanda risposero tutti i sociologi che aderirono al'idea che il conflitto fosse alla base della società. I teorici del conflitto considerano l'immagine funzionalista di un consenso generale sui valori come una pura finzione: ciò che accade in realtà - secondo loro - è che chi ha il potere costringe il resto della popolazione all'acquiescenza e alla conformità. In altre parole l'ordine sociale viene mantenuto non con il consenso popolare, ma con la forza o con la minaccia dell'uso della forza.

    I più importanti pensatori inscrivibili in questo paradigma furono Karl Marx e Max Weber. I rapporti sociali nella società sono basati su quelli che si instaurano fra diverse classi sociali. Nel pensiero di Marx, i rapporti principali sono quelli instaurati nella sfera economica della produzione e distribuzione di beni e servizi, e quindi nella struttura di classe della società. Qualsiasi altra idea, come quelle religiose, culturali, politiche e filosofiche sono sovrastrutture. Il conflitto di classe quindi viene identificato come motore della storia. L'altro grande impianto teorico che pone il conflitto al centro dell'analisi sociale è quello weberiano.

    paradigma della struttura

    Ogni uomo nasce in un mondo preformato, assume valori, credenze, stili di vita della società in cui viene a crescere; la struttura sociale sarà il reticolo all'interno del quale egli si muoverà - non senza essere libero - ma con una libertà confinata nei limiti consentiti dalla stessa struttura sociale.
    Per spiegare i comportamenti umani bisogna ricondurli alle coordinate sociali nelle quali si manifestano. L'intera esistenza quindi sarà un percorso prevedibile.
    Karl Marx ad esempio, è inscrivibile in questo paradigma, poiché teorizza che i comportamenti degli individui sono definiti dalla loro posizione rispetto alla struttura del sistema di produzione.

    Il paradigma si è poi evoluto nelle teorie funzionaliste.
    Queste teorie riflettono una concezione olistica del sociale, in quanto concepiscono la società come l'unità prioritaria di analisi e gli individui veicoli attraverso i quali la società si esprime. In pratica è la società che spiega gli individui e non viceversa.

    Nel corso degli ultimi cinquantamila anni, la specie umana

    si è adattata agli ambienti e climi più diversi. Diffondendosi su tutta la Terra, l’umanità ha infatti occupato aree tra loro diversissime, elaborando forme di adattamento altrettanto diverse tra loro.
    Il che ha voluto dire costruire utensili differenti per sfruttare l’ambiente circostante; inventare metodi efficaci per ripararsi dal freddo o dal caldo; stabilire relazioni con altri popoli vicini, che magari, nel frattempo, avevano sviluppato altre forme di adattamento.
    storia dell'homo sapiens


    Tutti questi modi di “vivere nel mondo”, adattandosi alle varietà degli ambienti diversi, sono il risultato di un processo lun­go quanto la storia di Homo sapiens
    Al centro di questo processo c’è il lavoro umano, cioè la capacità dell’uomo di trasformare la natura per rispondere ai propri bisogni, una sintesi di energia fisica e di capacità di manipolare la materia grezza, di osservazione, di abilità nel costruire e creatività nell’immaginare soluzioni a sempre nuovi problemi. 
    Queste capacità derivano all’uomo, sul piano evolutivo, dalla notevole complessità del suo cervello, dal linguaggio, che gli consente di dare forma concettuale allo spazio e al tempo (prima, dopo, laggiù, qui ecc.), e anche dal carattere prensile degli arti superiori, che gli consentono la presa di forza e di precisione.

    Gli esseri umani sono esseri sociali e quindi vivono in comunità: ciò consente di coordinare gli sforzi di un numero teoricamente incalcolabile di individui, moltipli­cando quindi le capacità di cacciare, costruire, coltivare, allevare, estrarre, pro­durre strumenti per produrre altri strumenti.
    L’organizzazione del lavoro è alla base delle relazioni umane, e queste relazioni determinano rapporti di forza e di potere, di maggiore o minore ricchezza.

    Società acquisitive
    (cacciatori-raccoglitori e pescatori)

    homo sapiens sapiens
    Per quasi quattro quinti della sua storia, cioè per circa quarantamila anni, Homo sapiens sapiens (cioè noi) ha basato la propria sopravvivenza sulla raccolta di frutti selvatici, sulla caccia e sulla pesca, attività che praticava con strumenti fatti di pietra, d’osso o di legno (bastoni, coltelli, lance, frecce, ami, reti).
    Le società di questo periodo, terminato tra i dodicimila e i diecimila anni fa con la comparsa dell’agricoltura, sono state definite società acqui­sitive. L’espressione “società acquisitive” sta a sottolineare che esse erano fondate sulla acquisizione, appunto, di risorse offerte “spontaneamente” dall’ambiente.

    Le società che vivono quasi esclusivamente di caccia, raccolta e pesca sono oggi meno di due milioni e mezzo di individui; rappresentano, cioè meno dello 0,0004% dei 7 miliardi di abitanti della Terra.
    I dati raccolti dai demografi attestano che l’economia di caccia-raccolta è una forma di produzione del cibo e di adattamento che ha conosciuto una progressiva e rapida riduzione di fronte all’avanzata di altre forme, in primo luogo dell’agricoltura.

    Nelle società acquisitive gli esseri umani “prendono” (anche se spesso mediante strumenti da loro fabbricati) ciò che la natura “offre” spontaneamente. In queste società, il lavoro umano si presenta quindi come un’attività a rendimento immediato. Questo modo di procurarsi il cibo ha importanti conseguenze sul modo in cui sono organizzate le società acquisitive.

    Le società acquisitive attuali sono di piccolissime dimensioni, fortemente ugualitarie e, nel caso dei cacciatori-raccoglitori, molto mobili. Infatti, se essi restassero sempre nello stesso luogo, animali e frutti non avrebbero il tempo di riprodursi e di maturare.  
    La necessità di trovare sempre nuove risorse favorisce a sua volta la formazione di gruppi assai ridotti conosciuti con il nome di “bande”. Dovendo spostarsi a piedi, le bande non accumulano risorse inutili. Ciò spiega l’egua­litarismo delle società acquisitive, la cui sopravvivenza è resa possibile da un sentimen­to di solidarietà e di condivisioni dei beni naturali.
    Anche i rapporti tra maschi e femmine sono assai più paritari che presso altre popolazioni. La formazione di nuove coppie è, come in tutte le società, un fatto pubblicamente riconosciuto attraverso atti formali: un dono, una promessa, una formula pronunciata di fronte agli altri membri della banda. Si tratta di legami che possono essere sciolti in qualunque momento, senza che i membri del gruppo possano impedirlo. Inoltre le donne, poiché devono spostarsi continuamente, non sono confinate alla sola sfera domestica. Esse beneficiano, di fatto, degli stessi diritti degli uomini.   
    In queste società esistono individui più autorevoli di altri per avvedutezza e capacità di affrontare i problemi. Spesso sono le donne a esprimere i pareri migliori, e quando ciò accade sono loro ad essere ascoltate più dei loro mariti o fratelli.  
    la spiritualità nelle società acquisitive
    Un simile comportamento coincide con un atteggiamento di rispetto nei confron­ti della natura da cui questi cacciatori-raccoglitori sanno di dipendere per la loro sopravvivenza. Se uccidessero troppi animali o raccogliessero troppi frutti selvatici (di cui tra l’altro non saprebbero che fare), essi comprometterebbero l’equilibrio di un ambiente che fornisce loro sostentamento e che, per questo, merita di essere rispettato.
    Nelle società contempo­ranee di caccia-raccolta esistono e sono riconosciuti individui più o meno capaci nel gestire rapporti, risolvere problemi, guarire malattie.
    Le condizioni generali di vita di questi gruppi (esiguità numerica, mobilità, assenza di risorse accumulabili e di una netta divisione del lavoro) fanno in modo che le diffe­renze tra individui non si traducano in disuguaglianze permanenti tra gruppi, cosa che invece si verificherebbe se le differenze fossero trasmesse da una generazione all’altra. In queste società non si hanno, quindi, forme di stratificazione sociale.

    Società agricole e pastorali

    La produzione è un fenomeno sociale, poiché i beni che vengono scambiati “incorporano” anch’essi delle relazioni sociali. Di un oggetto bisogna infatti chiedersi: quali sono gli elementi che sono “entrati” in quell’oggetto per farlo diventare ciò che è?
    La risposta riguarderà i materiali necessari alla fabbricazione, un insieme di conoscenze tecniche, un’idea di partenza, un lavoro ecc.
    Ma vi è un’altra questione fondamentale, ossia quali condizioni sociali hanno fatto sì che quegli elementi (materiali, conoscenze, idee, lavoro) abbiano potuto entrarvi in un certo modo e non in un altro.
    In ogni bene prodotto e scambiato ci sono quindi materiali, conoscenze tecniche, punti di vista sull’utile e sul bello e “relazioni” o rapporti tra gli individui che lo hanno prodotto.
    Nelle società antiche, come quella greca o quella romana, prevaleva il modo di produzione schiavista, dal momento che l’energia umana impiegata nella produzione apparteneva a individui legati da un rapporto di dipendenza totale e assoluta ad altri esseri umani.
    beni materiali sono dunque prodotti che “incorporano” molti elementi, comprese le relazioni sociali grazie alle quali essi sono stati prodotti.
    L’idea che gli oggetti fabbricati vadano analizzati come prodotti che incorporano relazioni sociali di volta in volta diverse risale al filosofo tedesco Karl Marx che, ne II Capitale, un’opera del 1867 dedicata all’analisi dell’economia del suo tempo, elaborò appunto il concetto di modo di produzione.

    Secondo Meillassoux, la comunità domestica si fonda, in queste società “tradizionali”, sull’accesso paritario di tutti gli individui al mezzo di produzione per eccellenza, cioè la terra. Tuttavia, all’interno di tale comunità vige il principio dell’anzianità sociale come fondamento dell’autorità. Sono infatti gli “anziani”, cioè gli uomini sposati con dei figli in grado di lavorare la terra, a detenere il controllo delle risorse.
    Queste ultime non coincidono però solo con la terra e gli attrezzi, dal momento che la terra è largamente disponibile e gli attrezzi possono essere fabbricati da chiunque. In questo caso le “risorse” sono piuttosto le donne, la cui vita è regolata dagli anziani delle varie comunità domestiche e, al di là di esse, dai rappresentanti più autorevoli dei gruppi di discendenza a cui tali comunità appartengono.
    In questa situazione il “controllo” delle donne è, secondo Claude Meillassoux, il fattore-chiave da cui deriva il potere: le donne sono infatti la risorsa fondamentale grazie alla quale gli individui possono diventare a loro volta indipendenti (crearsi una famiglia con figli in grado di lavorare la terra) e, poiché la “circolazione” delle donne è stabilita dagli anziani, la relazione sociale che determina questo modo di produzione è il rapporto giovane-anziano.
    I giovani, allo scopo di ottenere una moglie, e quindi rendersi indipendenti mettendo al mondo dei figli a loro volta in grado di lavorare, devono obbedire agli anziani, e quindi lavorare per molto tempo alle loro dipendenze. Gli anziani gestiscono naturalmente anche risorse di altro tipo: per esempio quelle simboliche connesse con la loro posizione di autorevolezza, fondata sull’anzianità; e quelle legate alle prerogative religiose, rituali e politiche.
    II controllo degli anziani sui giovani non può tuttavia durare in eterno, pena l’estinzione delia comunità domestica. Concedendo ai giovani delle mogli, essi consentono loro di dare inizio a un nuovo “ciclo domestico”, che vedrà gli anziani, cioè i giovani di una volta, controllare a loro volta la produzione agricola e la riproduzione della comunità.

    La comunità domestica, che secondo alcuni autori è la più antica unità economico-sociale, è stata “sfruttata” dai modi di produzione che l’hanno inglobata nel corso della storia. Tutti i modi di produzione, e da ultimo quello capitalista, hanno infatti usato questa comunità come “luogo di riproduzione della manodopera”, cioè di esseri umani in grado di fornire lavoro (produzione/riproduzione).

    Società industriali

    «Nel nostro linguaggio la ‘società’, la ‘società industriale’, la ‘industria’ sono termini esattamente sinonimi. Si deve quindi convenire che ogni uomo il quale produca in modo utile per la società è, per questo solo fatto, membro della società; che ogni uomo il quale non produca nulla è, per questo solo fatto, al di fuori della società e nemico della società».

    La società industriale classica si afferma a partire da ed entro una società contadina, tradizionale, statica, a limitata circolazione di merci e denaro. 

    I processi di industrializzazione sono:
    In economia: manifattura e fabbrica; centralità del mercato nazionale come dispositivo di scambio di beni e servizi; autonomia crescente del mercato istituzione dalle altre istituzioni sociali;
     Nella politica: la formazione dello stato nazionale moderno, con istituzioni politiche rappresentative e democratiche;
     Nella cultura sociale: alfabetizzazione, scolarizzazione, formazione di capacità lavorative, formazione di opinione pubblica, secolarizzazione.

    Il principio di organizzazione caratterizza la società industriale
    In generale (Saint Simon, Comte): la società industriale è quella della organizzazione scientifica, come il modo di comporre un insieme (lavoro organizzato), come l’ insieme che in tale modo viene composto (l’impresa, l’esercito, la chiesa, il partito sono organizzazioni).

    Nel lavoro produttivo è l’impresa industriale che organizza il lavoro sostituendo al tradizionale schema della bottega artigiana il sistema di manifattura (fabbrica)
    La manifattura accresce la divisione tecnica del lavoro (ovvero scomposizione e separazione delle mansioni affidate a lavoratori diversi)
    e impianta su di essa una separazione di gerarchie, funzioni, ricompense

    L’organizzazione della produzione industriale (Taylorismo e Fordismo) si è autodefinita scientifica ossia dominata da un principio di forte (tendenzialmente totale) razionalità sinottica (ovvero considerare e controllare, dall’alto e dall’ esterno, tutte le componenti e tutte le attività dell’organizzazione). 
    I principi sono:
    standardizzazione dei processi;
     predeterminazione delle operazioni;
     incentivi e sanzioni ai lavoratori;
     economie da grande dimensione.

    L’organizzazione è un ambiente di vita oltre che di produzione.
    La forma tipica del lavoro industriale è caratterizzata da:
    relativa stabilità, grande dimensione, durata per la vita; protezione sociale.

    La sociologia nasce durante il positivismo,

    con il francese Auguste Comte, e nel corso del tempo è andata sviluppando procedure metodologiche e sistemi teorici propri in modo da rendere l’analisi adeguata. Si sono sviluppate molte teorie sociologiche. 

    Gli approcci utilizzati sono prevalentemente di due tipi:
     approccio macrosociale. Lo studio dei modelli di società.
     approccio microsociale. Lo studio dei rapporti di iterazione fra gli individui.

    I principali modelli teorici della sociologia sono i seguenti:
    Funzionalismo. La società è concepita come un insieme di parti interconnesse tra di loro. Nessuna di esse, quindi, può essere intesa isolata dalle altre, ma solamente nel suo contesto.
    Strutturalismo. è stato un approccio che ha conosciuto, nella seconda metà del Novecento, importanti contributi teorici che hanno contribuito a definire e specificare il concetto di "struttura" nell'ambito dell'organizzazione sociale, oltre che della cultura.

    • Teorie dialettiche
     Teorie dell'agire sociale e Interazionismo simbolico
     Teorie dell'agire comunicativo
     Sociologia relazionale
    • Teorie sistemiche
    • Teorie della scelta razionale

    Dalla nascita della sociologia ad oggi, non c’è stata una definizione univoca di questa disciplina, a testimoniare quanto la stessa sia dinamica e capace di vedere il proprio oggetto da diversi punti di vista.

    Tra le varie definizioni la sociologia viene descritta come lo studio dei rapporti sociali e delle loro conseguenze, lo studio delle costanti, dei gruppi, delle strutture sociali e delle loro modifiche, ecc. I diversi approcci hanno in comune il riferimento ai rapporti fra gli uomini ed alle strutture sociali in cui tali rapporti si costruiscono, l’analisi dei gruppi e dei loro atteggiamenti, l’analisi delle costanti nel vivere sociale.